ROCKY ........................................................................ la vita fuori dal ring


Ho un problema e devo combattere (cit. Rocky) ………….. così lo Stallone Italiano davanti alla perdita progressiva dei suoi averi, una volta ritornato in patria, a causa di una truffa immobiliare ad opera del proprio commercialista. Presa di posizione che conferma quanto già largamente asserito, il dover lottare per far fronte ai problemi e ottenere una sorta di rivalsa contro le ingiustizie e le avversità. Costretto ad una vita fuori dal ring a causa di una patologia al cervello sviluppatasi in seguito ai forti colpi del match russo, il tenace Rocky Balboa sembra viva un grande disagio interiore, non perdendo di vista, però, i propri punti fermi.












Rassegnatosi all’idea di una vita fuori dal quadrato e divenendo il manager del promettente Tommy Gunn, il mancino Rocky Balboa sembrerebbe rivivere la propria scalata verso il titolo, scorgendo nelle vittorie del ragazzo un’opportunità di rispetto (cit.), soggetto, questo, alla base del lungometraggio Rocky V del 1990. Non riuscendo a sviluppare il cuore di un campione e indispettitosi ben presto per via degli accostamenti mediatici allo stallone italiano (il pupillo e il robot di Rocky), lo statunitense Tommy ‘Machine’ Gunn, manipolato da George Whashington Duke (Richard Gant), vorrebbe portare Rocky sul ring, attraverso provocazioni insistenti e insulti. Interpretato dal pugile Tommy Morrison (1969 – 2013), l’avvenente neo campione dei pesi massimi sembra essere incorso in facilitazioni amministrative, a causa di una presumibile falla nel sistema delle scelte pugilistiche, motivo per cui sentirebbe il bisogno di misurarsi con un vero campione. Lontano dal ring, però, il boxer di Philadelphia si sentirà in dovere di scendere nuovamente in battaglia, come per liberarsi di una contraddizione interna, di una bestia dentro (cit.), tematica di fondo del film Rocky Balboa, uscito in sala nel 2006. Diretto e sceneggiato da Sylvester Stallone, il quinto sequel del primo capitolo del 1976 mirerebbe a chiudere il ciclo pugilistico del protagonista, richiamato all’azione dal bisogno di sparare le ultime cartucce (cit), occasione colta al volo dal manager di Mason Dixon (Antonio Tarver), attuale campione dei pesi massimi. Giocando bene le sue carte e promettendo a Balboa un evento benefico, l’imprenditore riuscirà ad ottenere il consenso della “leggenda della boxe”, mirando a rilanciare l’immagine di Dixon ed arricchirne il valore sportivo. Supportato dagli affetti più cari nel duro percorso di allenamento, il pugile italoamericano si presenterà in ottima forma al grande avvenimento sportivo, dimostrando a tutti il coraggio e il cuore propri di un grande campione, dentro e fuori dal ring. 














Questi i temi preponderanti dell’intera produzione relativa alle gesta del boxer interpretato da Stallone, la rivalsa e il riscatto, il coraggio ed il cuore, fulcri tematici che, accanto ai valori di amicizia e famiglia confermano il valore di un certo tipo di produzione drammatica, incentrata sulla caratterizzazione del protagonista e sul bisogno di dimostrare il proprio valore. 

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